In cardiomioblasti embrionali di ratto e’ stato evidenziato come stimoli che simulano l’ischemia siano in grado di
indurre apoptosi. Il meccanismo di innesco della morte programmata segue principalmente la via mitocondriale, mentre
non viene coinvolta la proteina p53. Un ruolo protettivo e’ invece esercitato dal forbolo miristato acetato, un attivatore
della proteina cinasi C.
Anche le cellule staminali mesenchimali sono state oggetto di studio nell’ambito dei processi di rigenerazione delle
lesioni del miocardio infartuato. Al momento del loro trapianto nell’area necrotica ne muoiono piu’ del 90% e, in gran
parte, per apoptosi. E’ stata individuata una strategia farmacologica in grado di proteggere le cellule staminali da insulti
apoptotici durante il periodo di espansione ex vivo delle stesse. Il livello di protezione era stabile anche nelle prime 24
ore dalla sospensione del trattamento. Il composto utilizzato e’ la difluorometilornitina (DFMO), un inibitore
dell’ornitina decarbossilasi che blocca la sintesi delle poliamine. La DFMO e in grado non solo di ridurre l’attivita’
basale delle caspasi ma, in maniera ancora piu’ evidente, ne attenua fortemente la stimolazione indotta da citochine
proinfiammatorie generalmente presenti nell’area perinfartuale.
Altri studi hanno confermato come l’efficacia clinica del farmaco antitumorale doxorubicina sia limitata dalla sua
cardiotossicita’, dovuta alla formazione di specie reattive dell’ossigeno, a cui seguono apoptosi dei cardiomiociti e
cardiomiopatia dilatativa. Il pretrattamento con un farmaco ?-bloccante dotato di attivita’ antiossidante contrasta il
processo di apotosi in cellule cardiache in coltura in analogia a quanto verificato con altri classici antiossidanti, mentre
?-bloccanti convenzionali limitano solamente l’incorporazione della doxorubicina nelle cellule trattate.